21.8.09

I cinque eritrei che si sono salvati raccontano
"Da una barca ci hanno lanciato dell'acqua, poi sono spariti"

"Avvistati da almeno dieci navi
ma nessuno si è fermato a salvarci"

dall' inviato di Repubblica FRANCESCO VIVIANO


"Avvistati da almeno dieci navi ma nessuno si è fermato a salvarci"

I primi soccorsi a Lampedusa


LAMPEDUSA - "Quando abbiamo visto quel peschereccio avvicinarsi pensavamo di avercela fatta. A bordo molti erano già morti, ma in tanti, almeno una trentina, eravamo ancora vivi.

"Eravamo stremati, stanchi, disperati, ma gli uomini di quel peschereccio, quando l'imbarcazione si è avvicinata, ci hanno dato soltanto un paio di bottiglie d'acqua e qualcosa da mangiare. Poi sono spariti, se ne sono andati via".

Hampton, 17 anni, eritreo, è il più giovane dei cinque sopravvissuti all'ultima strage del mare nel canale di Sicilia. È in infermeria del centro di accoglienza di Lampedusa insieme agli altri tre uomini e una donna, tutti eritrei, cristiani. Tutti partiti più di venti giorni fa dalle coste libiche insieme ad altri 73 connazionali. Compagni di viaggio morti per gli stenti della fame, della sete, per le ustioni del sole e dei vapori della benzina.

Racconta Hampton: "Non credevamo a quello che stava accadendo, gli uomini di quel peschereccio hanno visto che stavamo morendo, ma non ci hanno portato a bordo. Non erano italiani, parlavano inglese. Speravamo che magari dessero l'allarme, che segnalassero la nostra posizione a qualcuno, invece siamo rimasti in mare per altri giorni e tutti gli altri che erano ancora vivi, tranne noi cinque, sono morti. Con noi Dio è stato buono, ma tutti gli altri, non ci sono più, sono morti e noi li abbiamo buttati in mare, come quelli di prima".

Hampton è il meno grave di tutti, ma nessuno dei sopravvissuti rischia di morire. "Se la caveranno" dice una dottoressa dell'istituto nazionale migrazione e povertà che assiste gli extracomunitari ricoverati nel pronto soccorso del centro di accoglienza dell'isola.
Titti è l'unica delle trenta donne sopravvissute a questa strage. Con lei c'erano anche altri tre suoi familiari, due cugini ed un fratello che si erano imbarcati sul gommone della morte sperando di raggiungere l'Italia. Parla con difficoltà in dialetto Tigrino, la lingua della regione eritrea vicino ad Asmara, ad ascoltarla c'è un suo connazionale che lavora per "Save the children" nel centro di accoglienza di Lampedusa. "Sono arrivata in Libia alcuni mesi fa - dice Titti - è stato un viaggio faticoso e pieno di insidie e pericoli. Solo la forza della disperazione, la speranza di arrivare in Italia mi ha fatto superare tutte le difficoltà".

Titti racconta che è stata per un paio di mesi a lavorare, "come una schiava", nelle case dei libici. "Con me - prosegue Titti - c'erano altre mie amiche ed altri connazionali, tutti in cerca di fortuna, tutti con la speranza di raggiungere l'Italia dove da anni vivono altri nostri parenti ed amici".

Titti smette poi di parlare, le spuntano le lacrime agli occhi, i ricordi di quei giorni vissuti in mare in balia delle onde e delle intemperie del giorno e della notte. È stremata e piena di ustioni in varie parti del corpo, ma a tarda sera riesce a prendere sonno e ad addormentarsi. Hampton è più loquace, ha ancora forze nonostante tutto ed ha voglia di raccontare quello che ha vissuto insieme altri atri. "Quando i trafficanti, dopo alcune settimane che ci tenevano prigionieri in dei capannoni, hanno stabilito che potevamo partire, ci hanno portato su una spiaggia. Lì c'era già un gommone pronto con delle taniche di benzina a bordo. Erano poche ed uno di noi lo ha fatto notare: "come faremo a raggiungere Lampedusa con questo carburante?". Loro ridevano, dicevano che potevamo andare anche in America, ma non era così e dopo qualche giorno, il motore si è fermato. Avevamo visto di notte le luci delle piattaforme petrolifere che i trafficanti ci avevano detto di raggiungere perché quella era la strada giusta. Ma non potevamo navigare, eravamo come rami che galleggiano nei fiumi. Il gommone andava avanti e indietro, girava attorno a se stesso. Di giorno era un inferno, il sole e l'acqua salata martoriava le nostre carni, la notte c'era freddo e non avevamo nulla per riscaldarci. Pregavamo e speravamo. Poi quel peschereccio che pensavamo ci potesse salvare e che invece se n'è andato via. Abbiamo incontrato altre barche o altre navi, almeno dieci, non li distinguevamo bene da lontano. Forse ci hanno anche visto, io e i pochi ancora con qualche energia gridavamo, sventolavamo le nostre magliette. Tutto inutile. Nessuno ci ha mai avvicinato e così cominciavamo a morire".

A bordo non c'erano bambini, ed i primi che hanno finito di vivere sono state le donne. "Erano le più deboli, tentavamo di darci aiuto l'uno con l'altro, ma non potevamo fare nulla, non avevamo più niente, molti avevano cominciato a bere acqua di mare e sono stati i primi a morire. Li abbiamo dovuti buttare in mare, uno dopo l'altro, non c'era altro da fare ed è stata una cosa dolorosa anche se Dio ci perdonerà di questo". Poi, ieri mattina, dal mare è spuntata una nave grigia, era quella della guardia di finanza che in questi ultimi mesi ha soccorso altri extracomunitari in mare riportandoli però subito in Libia, senza sapere da dove venivano.

Ma questa volta in quel gommone c'erano dei fantasmi, dei moribondi, ed il "respingimento" non è stato possibile.

(21 agosto 2009)


17.8.09

Il Comune della città-simbolo di Barack Obama è in bancarotta
E non è un caso isolato: tutta la finanza locale Usa è al collasso

Oggi Chicago "chiude" per crisi
Giorno di stop ai servizi pubblici

dal corrispondente del quotidiano "la Repubblica"FEDERICO RAMPINI


Oggi Chicago "chiude" per crisi Giorno di stop ai servizi pubblici

Chicago

NEW YORK - Oggi è vietato ammalarsi a Chicago. Guai ad avere bisogno di un certificato, o di qualsiasi altro servizio municipale. La spazzatura resterà a fermentare sui marciapiedi nell'afa estiva: è sospesa anche la nettezza urbana. La città di Barack Obama non ha più soldi nelle sue casse. Il sindaco Richard Daley, democratico, ha dovuto ricorrere a misure estreme. Fra cui tre giorni di vacanze forzate, a casa senza stipendio, per i dipendenti municipali. Il Comune annuncia che farà del suo meglio per garantire i servizi d'emergenza - le volanti della polizia, le ambulanze e i vigili del fuoco - ma è meglio non immaginare cosa succederà oggi a chi finisce in una "E. R." (emergency room, o pronto soccorso) col personale ai minimi e tutti gli altri reparti ospedalieri chiusi.

La sospensione di ogni servizio pubblico oggi provocherà disagi gravi ma farà risparmiare solo 8,3 milioni di dollari di stipendi, un'inezia rispetto alla voragine di perdite della città. Perciò Daley ha già preannunciato altri sacrifici e tagli ai servizi essenziali: tutti gli impiegati comunali dovranno prendersi molti giorni di riposo non remunerato, compresi gli insegnanti alla riapertura delle scuole. Ne risentirà anche la sicurezza: per mancanza di fondi viene sospeso il celebre piano del sindaco per ritirare le troppi armi in circolazione ricomprandole ai privati.

Pazienza se è un duro colpo per l'immagine della città-vetrina di Obama, quella in cui il presidente si fece le ossa come militante politico di quartiere, proprio nelle lotte per migliorare la qualità dei servizi sociali. Invecchia precocemente anche il mito della "rinascita di Chicago", vantata dai magazine come città-modello capace di schivare lo choc della recessione; la metropoli elegante e raffinata che continua a investire nell'architettura moderna (ieri Frank Lloyd Wright, oggi Renzo Piano) per lucidare il proprio glamour turistico internazionale.

Tutto vero, fino a poco tempo fa. Ora la bancarotta della finanza locale contagia anche la metropoli più ricca e cosmopolita del Mid-West, stremata per il crollo delle entrate. Come tutte le città americane anche l'amministrazione locale di Chicago dipende in modo prevalente dall'imposta sulla casa e da qualche tassa sui consumi: le voci di gettito su cui la recessione ha avuto un impatto catastrofico.

La "chisura per bancarotta" di Chicago fa scalpore perché è la città del presidente, ma non è un caso isolato. In Pennsylvania 255 impiegati pubblici sono stati licenziati in tronco - dieci giorni di preavviso e zero liquidazione - con una motivazione secca: "Mancanza di fondi". Oggi si fermeranno per sciopero il metrò e gli autobus di San Francisco, dopo l'aut aut della città agli autoferrotranvieri: o accettano una riduzione del 7% degli stipendi o scattano i licenziamenti collettivi.

Il caso della California è uno dei più drammatici. Dal 2 luglio lo Stato più grande e più ricco degli Usa (se fosse indipendente avrebbe un Pil superiore all'Italia e farebbe parte del G8) sta pagando tutti i suoi fornitori e creditori con delle cambiali, pezzi di carta di cui bisogna fidarsi: sono quasi due miliardi di dollari di "promesse future", perché in cassa non ci sono i fondi. E' con rinvii e sotterfugi di questo genere che il governatore Arnold Schwarzenegger ha tamponato provvisoriamente un buco di 24 miliardi di dollari nel suo bilancio. Tutti i servizi essenziali sono vittime dei tagli. Oltre 500 milioni di dollari sono stati tolti all'assistenza sanitaria per i più bisognosi. Le carceri dovranno liberare fino a 43.000 detenuti entro il prossimo biennio. E non è detto che siano solo i condannati per reati minori a uscire in libertà.

"Di questo passo - dice la presidente dell'assemblea legislativa californiana, Karen Bass - dovremo semplicemente aprire le porte delle prigioni". Soffre perfino quello che è stato per decenni il fiore all'occhiello del "modello California": il suo sistema universitario, capace di attirare nei campus da Berkeley a Ucla l'élite scientifica e il meglio degli studenti da tutto il mondo. Oggi le varie facoltà del sistema statale University of California subiscono riduzioni dal 20% al 30% dei loro stanziamenti.

L'università California State Fullerton ha inviato una lettera a tutti gli iscritti che inizia così: "Caro studente, come sai la California attraversa una drammatica crisi di bilancio. Pertanto siamo spiacenti di dover cancellare diversi corsi ai quali ti eri iscritto".

Professori e ricercatori sono costretti anche qui a prendersi delle vacanze non pagate, un modo elegante per mascherare delle riduzioni nette di stipendio. In America e nel mondo intero si ha l'impressione che l'Amministrazione Obama abbia risposto alla recessione con un poderoso aumento dell'intervento statale: la misura più nota è la maximanovra di spesa pubblica da 787 miliardi di dollari varata dal Congresso a fine gennaio. A livello locale però sta accadendo il contrario. Gli Stati e le municipalità sono costretti a ridurre crudelmente le spese più essenziali.

La ragione? A differenza del governo federale di Washington, la quasi totalità degli Stati (fa eccezione solo il Vermont) adottarono a fine anni Settanta delle costituzioni che proibiscono i deficit. La possibilità di indebitarsi è circoscritta entro limiti rigidi. Con due effetti pericolosi. Da una parte a livello locale la spesa pubblica non agisce affatto per attutire la recessione, ma al contrario contribuisce ad aggravarla. Inoltre si depaupera ulteriormente la qualità dei servizi e delle infrastrutture pubbliche, già in decadenza da decenni.
17 agosto 2009



11.8.09

ECONOMIA

C'è una luce in fondo al tunnel

di Mariaveronica Orrigoni e Luca Piana
La produzione non scende più. Le vendite di auto sono ripartite. Ma c'è il macigno del debito pubblico. E l'incubo disoccupazione. Cosa fare? Ecco le ricette di dieci economisti

La ripresa si sta affacciando sullo scenario economico globale... Fino a poche settimane fa un'affermazione tanto netta avrebbe scatenato scongiuri di ogni genere. Negli ultimi giorni di luglio, invece, la Confindustria ha abbandonato ogni scaramanzia per presentare così un convegno che il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, officerà a settembre. Fiducia? Temerarietà? La presa di posizione riflette in realtà i battiti di vita che l'economia ha fatto percepire di questi tempi.

Più della produzione industriale, che ha smesso di scendere a precipizio come accadeva da metà del 2008 (vedere il grafico a pagina 110), un'idea concreta la possono fornire alcuni fattori ancora episodici. In Italia a luglio le vendite di auto sono cresciute del 6,2 per cento rispetto a un anno prima. Un recupero grazie al quale appaiono ora a portata di mano le previsioni della Fiat: nel 2009, ha calcolato Torino, il mercato italiano dovrebbe arretrare del 5 per cento, un calo sopportabile rispetto alla voragine di inizio anno.

Nel mondo, invece, hanno destato sensazione le Borse, vicine ai massimi dal novembre scorso, e l'aumento dei prezzi delle materie prime, che nel pieno della recessione erano crollati a livelli minimi, riflettendo una domanda ridotta al lumicino: "C'è la luce alla fine del tunnel, almeno potenzialmente", ha commentato l'economista Nouriel Roubini, noto per essere stato fra i primi a prefigurare la crisi.

Il problema è che altri indicatori mostrano invece la gravità della botta inferta dalla recessione. A giugno i consumi di energia elettrica sono diminuiti del 7,6 per cento rispetto a 12 mesi prima, lo stesso trend di inizio anno: segno che l'industria italiana continua a marciare a passo ridotto. A luglio, poi, l'inflazione è scesa a zero su base annua, il livello più basso dal 1959: le famiglie, quando possono, risparmiano.


Per analizzare le prospettive della ripresa e comprendere i rischi che rimangono, 'L'espresso' ha raccolto il parere di dieci economisti. Ne è emerso un giudizio complessivo di grande prudenza, che riflette il timore dei macigni che la recessione può ancora scaricare: un forte aumento dei disoccupati e l'esplosione del debito pubblico. Ma non manca chi sottolinea la vitalità di una larga fetta dell'industria italiana e spera negli effetti contagiosi di un ritorno della fiducia.

IL SEMESTRE SABBATICO. "I consumatori non hanno ancora sentito la vera durezza della recessione; è come se questa avesse concesso loro un semestre sabbatico". Fedele De Novellis, del centro studi Ref, descrive così i fattori che hanno attutito gli effetti della crisi sulla vita di molte famiglie: il crollo del prezzo dei carburanti; l'esplosione del deficit pubblico, salito a luglio a 53,6 miliardi di euro (più del doppio rispetto a un anno prima), che riflette le minori tasse pagate da autonomi e imprese; la decisione di molte aziende di non licenziare subito la manodopera, ricorrendo alla cassa integrazione. Ora, però, i prezzi della benzina sono tornati a correre, il deficit pubblico si allarga e l'occupazione va ad adeguarsi a un livello produttivo un quinto più basso.

L'ESTATE STA FINENDO. A fine marzo l'Istat ha contato 200 mila posti bruciati: un numero contenuto, se si pensa ai crolli in Spagna e negli Stati Uniti. Dopo le ferie, però, la situazione potrebbe diventare nera. "Non tutti danno per scontato uno choc occupazionale: se gli imprenditori inizieranno a percepire un clima di maggiore fiducia potrebbero licenziare meno del previsto", dice Roberto Perotti della Bocconi. Se tagli saranno, a soffrire sarà però l'industria e sul destino di molte fabbriche grava un'alta incertezza, osserva Gregorio De Felice dell'ufficio studi di Intesa Sanpaolo: "l'impennata della cassa integrazione potrebbe preannunciare la mancata riapertura di diverse aziende, soprattutto le meno grandi", dice l'economista, secondo il quale il governo dovrebbe darsi l'obiettivo di aumentare la competitività delle piccole imprese. Come? Facendo piazza pulita di quei vantaggi fiscali e legislativi che consentono loro di fare a meno di un processo di riorganizzazione".
(07 agosto 2009)

10.8.09

Dal sole 24 ore online

Industria, migliora la fiducia
in Italia e Gran Bretagna


L'indagine, che ha preso in esame 3.700 industrie continentali (ma anche 1.800 nei paesi Bric, con il Brasile a guidare il drappello), rileva che dal minimo toccato a gennaio con un indice - basato sulle aspettative delle imprese - ruzzolato a -10,2 si è passati al +28 di luglio, «il livello più alto da gennaio 2008». I paesi con i picchi attualmente più positivi sono la Gran Bretagna con 53,8 e l'Italia con 48,9. «La Gran Bretagna e l'Italia potrebbero aver aperto la strada all'ottimismo, ma il fatto che così tanti paesi vicini hanno messo a segno oscillazioni dai 30 ai 40 punti deve essere di buon augurio per il futuro», spiega Alan Buckle, numero uno globale per l'advisory a Kpmg. Ma attenzione: dalla dalla stessa ricerca emerge che le industrie manifatturiere europee prevedono ancora tagli negli investimenti e questo fa capire, sottolinea Buckle, che «non ci siamo ancora allontanati con decisione dal punto più basso del ciclo economico».

La settimana scorsa era stato l'Ocse a sostenere che l'Italia e la Francia sarebbero i paesi europei (stando al superindice di giugno messo a punto dall'organizzazione internazionale con base a Parigi, anticipatore dei prossimi sei mesi di ciclo economico) che hanno maggiori chance di ripresa. Secondo altri dati publicati sull'Economist, forniti da Markit e dallo statunitense Institute for Supply Management (Ism), invece, mettendo a confronto i livelli di luglio con quelli dello scorso dicembre, il manifatturiero vedrebbe nelle migliori posizioni in Europa sempre la Gran Bretagna (tornata oltre quota 50, ovvero in fase di espansione) seguita da Francia, Spagna e Germania. Complessivamente, a livello mondiale davanti a tutti c'è la Cina, seguita proprio dal Regno Unito, poi da Giappone e Stati Uniti.

L'Italia - secondo questi dati, ottenuti da interviste ai manager degli acquisti - sarebbe il fanalino di coda dei paesi maggiormente sviluppati con un indice in risalita intorno a 45. Il belpaese è sorpassato dalla Spagna, che a dicembre aveva toccato il fondo inabissandosi sotto quota 30 ma adesso sembrerebbe reagire meglio. Quanto alla Gran Bretagna, la Banca d'Inghilterra a metà settimana aveva comunque avvertito che la recessione oltre Manica appare «più profonda del previsto». Insomma, un quadro ancora non definito, seppure con venature di ottimismo che fino a qualche mese fa erano ancora meno evidenti. (Al.An.)

10 AGOSTO 2009

6.8.09

SOCIAL NETWORK

Twitter sotto l'attacco dei pirati
servizio in tilt in tutto il mondo

Il popolare servizio di microblogging è fuori uso in tutto il mondo a causa di un attacco "denial of service" da parte di pirati informatici. L'annuncio è stato dato dalla stessa compagnia sul suo blog. problemi anche per Facebook: si indaga
dal nostro inviato ANGELO AQUARO


Twitter sotto l'attacco dei pirati servizio in tilt in tutto il mondo
NEW YORK - La resa è arrivata da Biz Stone in persona, il fondatore del social network più famoso del momento: siamo sotto attacco. Di più: sotto attacco come le banche online, come i servizi internet delle carte di credito. Twitter, la comunità web più in espansione del mondo, milioni di utenti collegati tra loro attraverso i telefonini e il web, i mezzi di comunicazione che hanno stravolto la nostra epoca, è andato in tilt, collassato per ore, afflosciandosi su stesso. In un post lanciato dallo stesso Biz, la resa è raccontata tra ironia e amarezza: "In questa mattina di giovedì, che sembrava tranquilla e felice, Twitter è finito sotto attacco. Attacchi di questo tipo sono vere e proprie iniziative dolose, orchestrate per rendere inutilizzabili servizi come le banche online, i sistemi di pagamento via web e, appunto, i sistemi di comunicazioni come Twitter. Ma noi ci difenderemo".

Twitter si difenderà, ma intanto l'attacco arriva proprio nel giorno in cui il social network è stato scelto dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per lanciare l'offensiva finale della grande battaglia per la riforma della sanità. E la sfida al social network arriva proprio all'indomani della notizia dell'addio dello cyberzar degli Usa, Melissa Hathaway, la donna che aveva già lavorato con George W. Bush e che proprio per questo la nuova amministrazione aveva già intenzione di sostituire.

Quello lanciato dagli hacker è stato un attacco in piena regola, che ha costretto i gestori del network a sospendere il servizio. Dagli Stati Uniti al Brasile all'Europa il servizio elettronico è andato in tilt lasciando senza comunicazione milioni di utenti. A chi ha cercato di collegarsi via web è andata ancora peggio: il server ha rifiutato l'accesso costringendo a riavviare i computer per il pericolo di infezioni.

Twitter è solo l'ultima vittima di una serie di attacchi informatici che nelle ultime settimane hanno terrorizzato il mondo di internet negli Usa. Anche la Casa Bianca, La Federal Reserve e il New York Stock Exchange sono stati obiettivo degli hacker. L'attacco colpisce il social network più in crescita e più alla moda del momento: anche la casa Bianca usa i suoi canali per comunicare con il pubblico più giovane e nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo la notizia della Quinta Sinfonia di Beethoven lanciata via Twitter dalla National Orchestra.

I responsabili del servizio hanno dovuto riconoscere di essere oggetto di un attacco rivelando al contempo anche la vulnerabilità di un sistema a cui milioni di persone affidano le proprie informazioni. Subito sul web si sono moltiplicati gli alert e gli inviti a non procedere con gli acquisti e le comunicazioni elettroniche che utilizzano questo servizio. Proprio l'ecommerce è stato uno dei volani principali del successo di Twitter. "Non potremo riprendere prima di aver assicurato la sicurezza ai nostri utenti", hanno specificato dall'ufficio newyorchese

La notizia ha fatto subito il giro della blogosfera, lanciata per prima dal sito online di Wired e di Repubblica, annunciata come Breaking News, ultim'ora, dal canale tv Cnbc, per riversarsi poi su tutti i media.

(6 agosto 2009)

le compagnie devono provvedere al danno subito dai passeggeri per il disservizio
La sentenza del giudice di pace di Catania è il primo esempio di applicazione della normativa comunitaria

Aeroporti e voli cancellati
i passeggeri vanno risarciti


Aeroporti e voli cancellati i passeggeri vanno risarciti

Lunghe attese per l'imbarco

CATANIA - Se il volo viene cancellato si può chiedere il risarcimento per il danno subito. Lo ha stabilito il giudice di pace di Catania che ha accolto la domanda di risarcimento di un passeggero. L'uomo, che doveva tornare a Catania con i voli Pisa-Roma e Roma-Catania, giunto all'aeroporto di Pisa ha, invece, scoperto che il volo era stato cancellato. Così è iniziata una vera e propria Odissea in quanto, dopo circa tre ore di attesa senza informazioni e assistenza, il passeggero è stato portato a Roma a bordo di un pullman, arrivando a Fiumicino all'una e mezza di notte. Alle tre, dopo aver atteso oltre un'ora, è stato trasportato in albergo, per essere successivamente ritrasferito, dopo poche ore, a Fiumicino con successivo imbarco sul volo Roma-Catania delle ore 8.55.

La vicenda è stata resa nota dalla Confconsumatori che in un comunicato sottolinea come si tratti "di una delle primissime sentenze in Italia che riconoscono il diritto del passeggero ad avere corrisposta la cosiddetta 'compensazione pecuniaria' e l'ulteriore risarcimento dei danni subiti, così come previsto dal Regolamento comunitario n. 261/2004, entrato in vigore nel febbraio del 2005".

A nulla sono servite le memorie presentate dalla compagnia aerea. Infatti, nel corso del giudizio, la compagnia ha eccepito che la cancellazione del volo era avvenuta per motivi tecnici, causa non imputabile, che comporta, dunque, l'esclusione della compensazione pecuniaria. Tuttavia, il Giudice ha osservato che, sulla base della documentazione agli atti, anche altri voli con la stessa avaria non erano stati cancellati e conseguentemente non ha ritenuto sussistere la causa di forza maggiore esimente di responsabilità. Inoltre, non è stata fornita al passeggero l'adeguata assistenza prevista sempre dal regolamento comunitario.

Il Giudice ha, perciò, condannato la compagnia aerea al pagamento della somma di 250 euro, quale compensazione pecuniaria, e di 550 euro a titolo di risarcimento danno patrimoniale ed esistenziale, oltre, ovviamente, al risarcimento per le spese del giudizio.

(6 agosto 2009)

dal quotidiano online El Mundo


MÍNIMO HISTÓRICO

El Banco Central Europeo mantiene los tipos en el 1% por tercer mes consecutivo

Actualizado jueves 06/08/2009 13:51
Efe | Europa Press

Fráncfort.- El Banco Central Europeo (BCE) ha decidido mantener los tipos básicos de interés en la zona del euro en el 1%, su mínimo histórico, para impulsar la economía.

De este modo, el BCE cumplió con los pronósticos de los expertos y analistas tras haber asegurado en varias ocasiones que los tipos están en "niveles adecuados" después de haber realizado el pasado mayo un recorte de 25 puntos básicos que dejó el precio del dinero el nivel más bajo de su historia.

Desde octubre del año pasado, la entidad monetaria ha bajado el precio del dinero en 4,25 puntos porcentuales debido a la recesión económica que sufre la euro zona, la peor desde el final de la Segunda Guerra Mundial en 1945.

Además de bajar los tipos, el BCE ha inyectado liquidez con otras herramientas menos comunes para facilitar a los bancos comerciales la concesión de créditos a las empresas y a los hogares. Así, el organismo monetario decidió comprar bonos garantizados, conocidos en España como cédulas hipotecarias y territoriales, por 60.000 millones de euros

Hasta ahora, el BCE ha adquirido bonos de este tipo por un valor 4.915 millones de euros. Por ello, los mercados financieros descartan que el organismo presidido por Jean-Claude Trichet vaya a ampliar este tipo de medidas no convencionales.

Produzione industriale in rosso
Nei primi sei mesi dell’anno si registra una calo del 21,9% rispetto allo stesso periodo del 2008
ROMA
È sempre "profondo rosso" per la produzione industriale che a giugno registra un nuovo, marcato, calo. In particolare, ha comunicato l’Istat, il decremento è stato dell’1,2% destagionalizzato su base mensile e del 21,9% su base annua mentre il risultato grezzo rispetto allo stesso mese del 2008 ha segnato una diminuzione del 19,7%. Gli indici destagionalizzati dei raggruppamenti principali di industrie registrano tutti variazioni congiunturali negative: -2,7% per l’energia, -2,3% per i beni strumentali, -2,0% per i beni intermedi e -1,0% per i beni di consumo (-2,6% per i beni durevoli, -0,9% per i beni non durevoli). In particolare, poi, la produzione di autoveicoli a giugno, corretta per i giorni lavorativi, è stata pari a -35,2% ripsetto allo stesso periodo del 2008 (il dato grezzo è stato pari a -31,9%).

Non solo è stato inferiore alle attese, ma il dato sulla produzione industriale diffuso oggi dall’Istat potrebbe riflettersi anche sul Pil. Proprio domani, l’istituto di statistica fornirà le stime sul secondo trimestre. E se inizialmente gli economisti si attendevano una contrazione congiunturale dello 0,7% e del 6,1% su base tendenziale, ora non sono più pronti a scommetterci. Secondo gli analisti interpellati da Reuters, infatti, il dato di oggi sulla produzione alza delle ombre sulle stime del Pil. In particolare, Ken Wattret di Bnp Paribas si dice sorpreso dai dati sulla produzione mentre, a suo giudizio, «il Pil del secondo trimestre sarà molto meno debole di quello del primo trimestre, ma potrebbe disattendere le attese, risultando probabilmente peggiore rispetto al consensus». Più rassicurante Laura Cavallaro di Aletti, secondo la quale nonostante il dato sulla produzione sia più basso delle attese, «la tendenza resta quella di una stabilizzazione nei prossimi mesi e di una graduale ripresa». Le speranze comunque si concentrano sul terzo trimestre visto che, proprio dalla ricostituzione delle scorte, potrebbe arrivare un input nei mesi di luglio e di agosto: per Paolo Pizzoli di Ing Financial Markets, verso la fine dell’anno insomma si potrà tirare il fiato.

Grido d’allarme dei sindacati. «Siamo in una situazione di stasi. I dati sulla produzione industriale sono seriamente preoccupanti», ha dichiarato Susanna Camusso, segretario confederale Cgil. «I problemi sono seri - continua Camusso - abbiamo visto quelli sull’occupazione, ora sulla produzione industriale. Se si guardano i dati disaggregati, la diminuzione per l’energia, i beni strumentali, i beni di consumo, significa che non ci sono buone prospettive di investimento». Per Giorgio Santini, segretario confederale Cisl, «meno 1,2% non è un bel dato. Sono necessarie politiche di investimento. Si capisce che la ripresa sarà molto lenta». Infine, Domenico Proietti segretario confederale Uil rilancia: «La proposta della Uil di usare la leva fiscale, riducendo le tasse sulle prossime tredicesime, potrebbe essere buona per favorire la ripresa dei consumi».

dal quotidiano La Stampa online

ECONOMIA

Da repubblica online

Male il quarto trimestre fiscale per l'impero mediatico di Rupert Murdoch
Giro d'affari giù dell'11% a 7,6 miliardi di dollari. Le tv scendono del 27%

Conti in rosso per Rupert Murdoch
News corp perde 203 mln di dollari

E il magnate australiano rilancia l'idea delle news via internet a pagamento dal 2010
"Un'industria che regala i suoi contenuti cannibalizza il buon giornalismo"

Conti in rosso per Rupert Murdoch News corp perde 203 mln di dollari

Rupert Murdoch


NEW YORK - Brutte notizie per l'impero mediatico di Rupert Murdoch. Nel quarto trimestre fiscale, News Corp registra una perdita netta di 203 milioni di dollari, la solida performance delle divisioni di trasmissioni via cavo (+39%) è stata annullata dal crollo delle entrate pubblicitarie. Un anno prima il gruppo, che controlla tra gli altri il Wall Street Journal e le emittenti televisive Fox, aveva registrato un utile di 1,13 miliardi di dollari. Il giro d'affari è calato dell'11% a 7,6 miliardi di dollari, mentre le entrate del settore tv, inclusa Fox, scendono del 27%. Il gruppo si aspetta una modesta ripresa nei prossimi mesi.

Per quanto riguarda Sky Italia, nel quarto trimestre fiscale la piattaforma digitale ha riportato utili per 155 milioni di dollari, in calo di 57 milioni rispetto ai 212 milioni dell'anno scorso. Per l'intero anno fiscale Sky ha registrato profitti per 393 milioni di dollari, in calo di 26 milioni dai 419 milioni dell'anno scorso. Rupert Murdoch, amministratore delegato del gruppo, nel corso della conference call per commentare i risultati si è detto "non preoccupato". Il numero di abbonati è cresciuto di 235.000 unità nel corso dei 12 mesi, portando il totale alla fine del quarto trimestre a 4,8 milioni. Negli ultimi tre mesi dell'anno la crescita del giro d'affari è stata ridotta dallo slittamento dei dati relativi agli introiti derivati dai programmi calcistici, che in parte saranno iscritti nel bilancio del primo trimestre fiscale.

I risultati del gruppo per l'intero anno fiscale 2009 sono stati comunque in linea con le previsioni, che la società aveva rivisto per due volte al ribasso a causa del perdurare della crisi economica e della recessione globale. Rupert Murdoch è tornato sull'idea di rendere a pagamento tutti i siti di news del gruppo. L'accesso al Wall Street Journal è già in parte gratuito e in parte a pagamento. Il magnate australiano non è sceso nel dettaglio dell'operazione ma ha detto che questa misura potrebbe essere introdotta a metà del 2010. "Un'industria che regala i suoi contenuti - dice - sta cannibalizzando la sua capacità di fare buon giornalismo".

Murdoch ha anche detto che potrebbe rompere l'alleanza con Amazon sul lettore digitale Kindle, se non si arriverà ad una rinegoziazione degli accordi. Il tycoon si è detto scontento delle relazioni tra Kindle e i lettori online dei suoi giornali, lasciando anche trapelare la possibilità di un accordo tra News Corp e Sony.
(6 agosto 2009)

3.8.09

Da Le Monde

Bruno Le Maire : les producteurs "rembourseront moins de 500 millions d'euros"

Lté s'annonce chaud dans les vergers. Les producteurs français de fruits et légumes vont devoir rembourser les aides publiques versées par l'Etat entre 1992 et 2002, soit plusieurs centaines de millions d'euros, a affirmé lundi 3 août le ministre de l'agriculture dans Le Parisien. Bruxelles estime que ces aides ont faussé la concurrence dans l'UE. "Il est certain que nous devrons engager une procédure de remboursements auprès des producteurs", a déclaré Bruno Le Maire dans un entretien au quotidien francilien. "Je ne veux pas exposer la France à une condamnation qui l'obligerait à rembourser une somme plus conséquente dans cinq ou dix ans", a-t-il expliqué.

Fin janvier, la Commission européenne a demandé à la France de récupérer les aides publiques versées pendant dix ans, de 1992 à 2002, à ses producteurs de fruits et légumes, estimant qu'elles avaient faussé la concurrence dans l'UE. Selon le gouvernement, la facture totale réclamée par Bruxelles serait en fait de l'ordre de 500 millions d'euros, en comptant les intérêts. Mais les producteurs "rembourseront moins de 500 millions d'euros", a affirmé à le ministre, qui conteste ce montant. Son prédécesseur, Michel Barnier, avait d'ailleurs déposé un recours en ce sens début avril devant la Cour de justice européenne.

La question du recouvrement est d'autant plus délicate que de nombreux exploitants ont abandonné leur activité, certains sont morts et d'autres sont dans l'incapacité de payer vu le contexte économique. Le ministre a assuré en tous les cas qu'il n'y aurait "pas de recouvrement effectif avant plusieurs mois".

Le 28 janvier, la Commission européenne avait demandé à Paris de récupérer plus de 330 millions d'euros d'aides publiques versées entre 1992 et 2002 à ses producteurs de fruits et légumes. L'exécutif européen avait ouvert une enquête à ce sujet en 2005.

Les producteurs, qui subissent de plein fouet la baisse des prix des fruits et légumes, refusent de s'acquitter de la facture. François Lafitte, président de la Fédération des comités économiques (Fédécom), qui représente les exploitants, a estimé que "cela serait la ruine de la profession".

"LES AGRICULTEURS NE PEUVENT PAS REMBOURSER DANS L'IMMÉDIAT"

Cette aide "nous a permis de faire face à la concurrence, notamment espagnole et portugaise. Tout le monde connaissait le système, y compris la Commission européenne", a-t-il ajouté."Dans un contexte difficile pour les producteurs, il est dangereux de jouer la provocation", a averti de son côté Jean-Bernard Bayard, secrétaire adjoint de la FNSEA, principal syndicat agricole. Selon lui, "les agriculteurs ne peuvent pas rembourser dans l'immédiat".

Les fonds contestés sont des aides octroyées par la France pendant dix ans entre 1992 et 2002 pour des "plans de campagne". Concrètement, des fonds publics payés par l'Office national interprofessionnel des fruits, des légumes et de l'horticulture pour financer des actions destinées à faire face à des situations de crise dans le marché des fruits et légumes. Les destinataires finaux des aides étaient des organisations départementales de producteurs de fruits et légumes.

3 agosto 2009