23.10.09

Dal Financial Times
UK economy shrinks in third quarter
By Daniel Pimlott, Economics Reporter

Published: October 23 2009

The UK economy shrank by 0.4 per cent in the third quarter, indicating that the deepest recession in a generation is not yet over.
From a peak in the first quarter of 2008, the economy has now contracted by 5.9 per cent, the Office for National Statistics reported. The recession has now lasted for six quarters, the longest downturn since the second world war and on a par with that of 1979-81.
The data are a big shock after economists had expected growth to return in the quarter, with the average forecast predicting a 0.2 per cent rise in output. The Treasury forecast at the time of the Budget in April that growth would return in the fourth quarter, but the Bank of England had expected 0.1 per cent growth in the third quarter.
However, a sharp 0.7 per cent contraction in industrial production, combined with a further 0.2 per cent decline in services output, put paid to hopes that the recession might be over.
John Philpott, chief economist at the Chartered Institute of Personnel and Development, said the figures made “the recession look more like a depression”.
Alistair Darling, chancellor, said on Friday: “I’ve always been clear that growth will return at the turn of year, as my Budget forecast confirmed.
“We’re facing the worst global financial crisis and recession in 60 years. We’ve always said that we remain cautious as a result of the high degree of economic uncertainty.”
In a pointed remark aimed at the opposition Conservative party, which has argued for sharper action to reduce the budget deficit, Mr Darling said that removing fiscal stimulus now would be
”madness”.
George Osborne, the shadow chancellor, said the data showed that the UK needed a change of economic direction to get the country working again.
“There are many millions of people who will be deeply concerned to see that Britain is still in recession six months after France and Germany came out of recession. It destroys the myth that Britain was better prepared,” he told Sky News.
Sterling fell more than 1 per cent after the data were released and gilt yields dropped as expectations grew that the Bank of England would be forced to increase the quantitative easing
programme of buying government bonds. The FTSE 100 rose nearly 1.5 per cent.
The UK GDP numbers were in sharp contrast to fresh figures from the eurozone that showed private sector economic activity grew at its fastest pace for almost two years this month.
The fresh turn in the economy will raise fears that the UK may be facing a deeper and more prolonged downturn. The economies of France, Germany and Japan started growing again in the second quarter and the US looks likely to have started growing again in the third quarter.
The figures will also put pressure on the Bank of England to increase its £175bn QE programme, and on the government to offer fresh measures to boost the economy in its pre-Budget report, due within the next few weeks.
“The fact that the economy is still contracting despite the huge amount of policy stimulus supports our view that the recovery will be a long, slow process,” said Vicky Redwood of Capital Economics.
“The economy now looks unlikely to grow by more than 1 per cent at best next year. Similarly, with a huge amount of slack still building, we continue to think that deflation is a key risk.”
Business groups expressed disappointment that modest signs of improving confidence in the manufacturing and service sectors were not reflected across the economy. “This reinforces the CBI’s view that recovery, when it comes, will be fragile and volatile,” John Cridland, deputy director-general of the employers’ organisation, said.
Declines in distribution, hotels and restaurants made the largest contribution to the fall in growth.
The sharp fall in industrial output, which was deeper than the 0.5 per cent decline seen in the second quarter, came amid a particularly rapid 3.5 per cent contraction in mining and quarrying.
Construction also showed an accelerated decline in the third quarter, with output falling 1.1 per cent compared with a 0.8 per cent drop in the second quarter.
Much of the decline came from a sharp fall in distribution and from wholesale, which some economists took as a sign that destocking might have been more of a drag than expected.
“The primary culprit still seems to be firms destocking, which shows up in distribution from the output side of the accounts. This recession has seen the sharpest destocking ever seen in a
recession,” said Karen Ward, economist at HSBC.
One of the main risks to recovery is that as over-indebted individuals, businesses and banks – and, ultimately, the government – seek to reduce debt levels, the fall in demand may mean that growth will not return at a fast enough pace to reduce unemployment.
The National Institute for Economic and Social Research expects that although growth may be stronger for the next few quarters, there will be intermittent quarters of expansion and
contraction for some time to come.

19.10.09

Offensiva Sky: più televisori per tutti

La sfida tra Sky e Mediaset è a colpi di promozione nel settore delle tv a pagamento
Schermi a prezzi scontati per contrastare Mediaset



PAOLO FESTUCCIA (La Stampa)

TORINO
La notizia rimbalza da Tunisi, dove in queste ore l’amministratore delegato di Sky, Tom Mockridge ha riunito a porte chiuse i massimi esponenti della pay-tv con ottocento persone tra venditori e installatori al seguito. La parola d’ordine è aggredire il mercato. Di sterilizzare non solo, quello che in casa Sky è stato considerato un colpo a freddo, cioè l’innalzamento dell’Iva dal 10 al 20% ma anche di contendere all’avversario (cioè a Mediaset) l’intero mercato della tv a pagamento.

La prima mossa, infatti, è certamente di grande impatto: con sei euro mensili, Sky darà a tutti gli abbonati (nuovi e vecchi clienti) la possibilità di avere un televisore nuovo, ad alta definizione. Insomma, la campagna d’avvio per la «grande guerra» agli operatori del settore sta per cominciare. Già lo scorso 7 luglio il figlio di Murdoch, James, a margine della presentazione del rapporto Agcom sull’andamento del sistema televisivo in Italia - confortato dai risultati positivi di bilancio della azienda (Sky 2,6 miliardi di fatturato, Rai 2,7 miliardi e Mediaset 2,5 miliardi) - ammise commentando le cifre che, «questo» sarebbe stato «solo l’inizio».

Come dire, che, grazie alla liquidità rimasta in cassa - dopo la rinuncia da parte della Rai al rinnovo di partnership proprio con Sky - quei 55 milioni di euro l’anno risparmiati (e che invece, secondo le stime fatte in Vigilanza Rai dal direttore generale di viale Mazzini, Mauro Masi, contribuiranno a un saldo negativo in bilancio all’azienda pubblica di 200 milioni) saranno investiti in Italia per aumentare numero di clienti e quote di mercato.

Dunque Sky passa all’offensiva. Contro la Rai, per la quale il presidente del Consiglio ha previsto, ieri l’altro un calo «verticale di abbonamenti» (canone) ma soprattutto, contro Mediaset e la sua offerta a pagamento ma anche contro «l’alleanza» RaiSat e la piattaforma TivùSat. E lo fa con una promozione invasiva. Non solo offrendo con 6 euro mensili in più sull’abbonamento un televisore (Samsung o Sony «Full Hd») ma varando, una serie di offerte commerciali che, con 29 euro mensili (19 euro la quota base più 10 euro la tv), consentiranno a chi si abbona (ma anche a chi è già abbonato) di portare a casa una Tv nuova.

La promozione non sarà totalmente gratuita. Un televisore «full hd», costa dai 500 ai 900 euro. L’offerta prevede: 50 euro di ingresso e poi sei euro mensili per 3 anni. Risultato: 266 euro di spesa suddivisa in 36 mesi (nell’ipotesi di un televisore dal costo di 500 euro si spenderà circa la metà).

La sfida per la supremazia nel mercato italiano, una torta che vale oltre 8 miliardi di euro è partita: sia nei confronti della Rai, sia e soprattutto nei confronti del competitor privato. La nuova tv sarà dotata di decoder digitale terrestre incorporato, e questo già consentirà all’utente, che ancora dispone della vecchia tv analogica, di non dover ricorrere a un altro decoder eludendo così anche il nodo del criptaggio di alcuni programmi Rai (nel senso che non avrà bisogno di installare un altro decoder con un altro telecomando).

L’obiettivo vero della campagna promozionale, anche se da Sky non trapela nulla, è quello di stimolare da un lato l’opinione pubblica che la pay-tv è sì a pagamento ma anche popolare e dall’altro arrestare anche eventuali inizi di emorragie tra i clienti che guardano di buon occhio l’offerta pre-pagata di Mediaset, certamente più «flessibile» (nel senso che è anche ricaricabile) rispetto a Sky. Mediaset, infatti, con 18 euro offre la carta «Easy pay» che contiene Gallery (Mya, Steel, Joi, Disney Channel, Premium Cinema e Studio Universal) e ancora «Premium Calcio 24», tutto il meglio di Serie A, Champions League e da quest’anno l’esclusiva Europa League, la ex Coppa Uefa. Insomma, un’offerta variegata, e ampia che dimostra come il settore sia fortemente in movimento e, soprattutto, che Mediaset non sta certo a guardare.

E lo sport, con molta probabilità, sarà sempre più al centro delle contese: dal calcio con i mondiali in programma nel 2010 fino alle prossime Olimpiadi. Nel mezzo dello scontro tra i due big privati ci sarà anche la Rai: il servizio pubblico sconta la crisi pubblicitaria, come del resto tutti i media, e un progressivo assottigliamento dei proventi del canone. La guerra, dunque, c’è da scommettere sarà senza esclusioni di colpi. E non è un caso che alla convention di Tunisi organizzata in questo week-end da Sky, tra i corridoi, si parla anche di un nuovo decoder supertecnologico che presto potrebbe invadere le case degli italiani.

9.10.09

Sorpresa alla Casa Bianca e in America per la decisione del comitato norvegese
Premiati "gli sforzi straordinari per la diplomazia e la cooperazione tra i popoli"
Il Nobel per la pace a Barack Obama
Il presidente: "Non so se lo merito"


OSLO - "Sono sorpreso, onorato e profondamente commosso, ma non sono sicuro di meritare il premio". Così Barack Obama commenta davanti ai giornalisti la decisione del comitato norvegese di assegnargli il Premio Nobel per la pace 2009. "Accetto questo premio come chiamata all'azione per tutte le nazioni di fronte alle sfide del ventunesimo secolo", ha aggiunto Obama.
Il comitato del Nobel ha attribuito il premio al presidente degli Stati Uniti "per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli".

Anno decisivo Il presidente del comitato norvegese, Thorbjoern Jagland, ha citato anche "la visione e gli sforzi di Obama per un mondo senza armi nucleari". Jagland, annunciando il premio, ha detto che forse ad alcuni l'assegnazione al presidente americano può essere considerata prematura, ma che per statuto il premio va assegnato a chi ha fatto il massimo per la pace nell'anno precedente. La scelta di Obama è stata fatta all'unanimità. Il premio, che sarà consegnato a Oslo il 10 dicembre, consiste in una medaglia, un diploma e un assegno da 10 milioni di corone (circa un milione di euro).

Colti di sorpresa La decisione ha colto di sorpresa la presidenza e l'America: "Wow!", è stato ad esempio il 'commento' a caldo del portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, svegliato nel cuore della notte da un giornalista della Cbs per dargli la notizia del Nobel a Obama. Anche 'a freddo', i funzionari della presidenza interpellati dalla Cnn si sono detti "sorpresi". Il capo dello staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel, ha reagito invece con una battuta: "Oslo batte Copenaghen". Il riferimento è al fatto che la presenza di Obama a Copenaghen per perorare la causa di Chicago quale sede delle Olimpiadi 2016 si era risolta in un fallimento. Rahm ha ribadito che alla Casa Bianca nessuno immaginava che Obama potesse ricevere il prestigioso riconoscimento. Gibbs, cui è toccato il compito di svegliare il presidente per comunicargli la notizia, ha riferito che Obama si è detto "profondamente onorato" e ha aggiunto di
"accettare con umiltà il riconoscimento".
La sorpresa del Paese può essere sintetizzata guardando ai media. L'agenzia di notizie AP ha titolato un pezzo, subito rilanciato dal cliccatissimo portale conservatore, "Drudgereport", "Ha vinto. Ma per cosa?". Il Wall Street Journal invece ha aperto l'edizione on-line con un sintetico giudizio: "Scelta assolutamente bizzarra".

Il discorso del presidente. Davanti ai giornalisti, Obama ha così ricostruito il momento dell'annuncio. "Bè, non è proprio il modo in cui pensavo di svegliarmi oggi. Dopo aver avuto la notizia, Malia è entrata e ha detto: papà, hai vinto il Nobel per la Pace ed è il compleanno di Bo (il cane). E poi Sasha ha aggiunto: e sta arrivando un week-end lungo. E' bene avere bambini che mantengano le cose entro un prospettiva", ha scherzato. Per poi analizzare con serietà le conseguenze e le responsabilità connesse al premio: "Non sono sicuro di meritare di essere in compagnia con persone che hanno saputo produrre tali cambiamenti, donne e uomini che hanno ispirato me e il mondo con la lora coraggiosa ricerca della pace. Ma so - ha continuato - che il premio riflette il tipo di mondo che quelle donne e uomini e tutti gli americani vogliono costruire, che dà vita alla promessa dei nostri documenti fondativi. E so anche che nella sua storia il Nobel per la pace non è stato assegnato solo per onorare risultati specifici. E' anche stato usato per enfatizzare una serie di cause. Per questo accetto questo premio, come un incitamento ad agire, un incitamento alle nazioni affinché affrontino le sfide comuni del 21esimo secolo". Obama ha poi citato alcuni dei punti cardine della sua politica, esempi delle motivazioni del comitato del Nobel: l'opposizione alle armi nucleari e l'impegno contro i cambiamenti climatici. Ma, ancora più importante, il richiamo al dialogo tra popoli, culture, religioni: "Le differenze non possono definire il modo in cui ci guardiamo. Dobbiamo cercare un nuovo inizio tra persone di diversa fede, razza, religione, basato su un mutuo rispetto e un mutuo interesse". Un esempio di stabilizzazione necessaria resta, per Obama, il conflitto israele-palestinese: "Hanno il diritto di vivere in pace nei loro Stati". Il presidente ha poi elencato le difficoltà domestiche, dalla crisi economica all'istruzione alla sanità, alle guerre che vedono impegnati migliaia di americani. "Questo premio non riguarda solo gli sforzi della mia amministrazione, ma gli sforzi coraggiosi di tanta gente nel mondo. Per questo va diviso con chiunque nel mondo lotti per la giustizia e la dignità".

Le motivazioni Tornando alle motivazioni, la commissione ha riconosciuto gli sforzi del presidente statunitense per ridurre gli arsenali nucleari e lavorare per la pace nel mondo. "Obama ha fatto molte cose - ha detto Jagland durante la conferenza stampa a Oslo - ma è stato riconosciuto soprattutto il valore delle sue dichiarazioni e degli impegni che ha assunto nei confronti della riduzione degli armamenti, della ripresa del negoziati in Medio Oriente e la volontà degli Stati Uniti di lavorare con gli organismi internazionali".

"Molto di rado una persona è stata capace di dare speranza in un mondo migliore e di catturare l'attenzione del mondo quanto è riuscito a Obama", si legge in una nota della commissione.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, Jagland ha ammesso che l'ambiziosa agenda del presidente Usa deve fare i conti con l'impasse in Afghanistan, con la crisi nucleare iraniana e con lo stallo in Medio Oriente, ma ha anche evidenziato il grande successo dell'unanimità raggiunta in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione per un mondo libero dalle armi atomiche.

I precedenti Usa Obama è il terzo esponente di spicco del partito democratico americano a vincere il Nobel per la pace dopo l'ex vicepresidente Al Gore nel 2007 e Jimmy Carter nel 2002. Obama è inoltre il quarto presidente Usa (il terzo in carica) insignito del Nobel. Prima di lui lo ottennero Theodore Roosevelt (l'unico repubblicano) nel 1906, Woodrow Wilson nel 1919 e Jimmy Carter che lo ottenne nel 2002, a 22 anni dalla fine del suo mandato alla Casa Bianca. Obama ha battuto invece ogni record di rapidità nell'ottenere il premio a 10 mesi dall'insediamento.
(9 ottobre 2009)

7.10.09

Rivoluzione digitale: su internet tutti i documenti federali, compresi atti amministrativi, leggi e regolamenti

Obama mette online la banca dati dello Stato

Nasce il Federal Register 2.0. "Così gli elettori potranno vigilare"
dal corrispondente di Repubblica FEDERICO RAMPINI


NEW YORK - Arriva al cuore del potere dello Stato la rivoluzione digitale di Barack Obama. Il presidente impone il salto nel XXI secolo per tutti i documenti federali degli Stati Uniti. A cominciare dal "deposito" di atti più importante per l'interesse del cittadino americano: il Federal Register. E' un'istituzione che compie 73 anni, un archivio fondamentale della vita pubblica negli Stati Uniti.

Lì dentro sono custodite le tracce di tutti gli atti amministrativi, le decisioni delle authority federali, e anche le proposte di riforma delle leggi e dei regolamenti. D'ora in avanti questa immensa banca-dati del potere statale avrà una nuova dimensione elettronica. Tutti i cittadini potranno accedere all'archivio degli atti della pubblica amministrazione online. Una svolta battezzata dalla Casa Bianca "Federal Register 2.0".

La trasformazione è affidata a due uffici, il Government Printing Office (un equivalente del nostro Poligrafico dello Stato) e la National Archives and Records Administration. A guidare il progetto c'è un braccio della Casa Bianca, la task force di Obama dedicata alla "Open Government Initiative".

Federal Register 2.0 ha già una finestra aperta, attivata immediatamente e accessibile sul sito www. GPO. gov. Un modo per accrescere il controllo degli elettori sui meccanismi più intimi della macchina del potere statale.

"Questo lancio - ha detto Aneesh Chopra che è il guru tecnologico della Casa Bianca - realizza la promessa del presidente di coinvolgere più direttamente gli americani nelle attività del governo. Introdurremo innovazioni innumerevoli per assicurare che ogni voce sia ascoltata sui problemi che stanno a cuore ai cittadini". Un impegno a sviluppare anche la dimensione interattiva di questo progetto.

Tra le operazioni tecniche che accompagnano questo cantiere c'è l'adozione del formato Xml per tutte le pubblicazioni ufficiali, in modo da facilitare la loro versione digitale.

"In passato - spiega il direttore del Federal Register Ray Mosley - questo archivio nazionale era pensato e rivolto soprattutto ai legislatori e agli esperti, ora sarà possibile personalizzarlo in una infinità varietà di modi. Saranno gli utenti, non il governo, a decidere che uso farne".

L'archivio federale risolve anche un problema di voluminosità. L'ultima edizione dei suoi aggiornamenti l'anno scorso era arrivata a contenere 32.000 documenti di 80.000 pagine. Il formato digitale consentirà di compattarlo e al tempo stesso creare degli strumenti di accesso selettivo e motori di ricerca per semplificare la raccolta delle notizie.

"Federal Register 2.0" è l'ultimo passo fatto dall'Amministrazione Obama in una serie di sforzi dedicati a rendere più trasparente l'azione di governo, e utilizzare le potenzialità delle nuove tecnologie per arricchire il dialogo con gli elettori. E' una promessa cruciale da mantenere per questo presidente.

Obama non può dimenticare che la sua vittoria elettorale nel novembre scorso fu facilitata dall'irruzione di nuove generazioni nell'arena politica, e di nuovi strumenti per organizzare la militanza politica di base, con un ruolo senza precedenti svolto proprio da Internet.

6 ottobre 2009

6.10.09

L' Italia discrimina immigrati e Rom
Repubblica — 15 settembre 2009


ROMA - «In molti casi le autorità respingono i migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi». Non poteva essere più dura la presa di posizione dell' Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, sulle politiche di respingimento in mare. Non solo. In Italia, secondo le Nazioni Unite ci sarebbe «un' abbondante documentazione di trattamenti degradanti nei confronti dei Rom». E mentre per la Farnesina le critiche «non sono evidentemente rivolte all' Italia», il presidente della Camera, Gianfranco Fini invitaa non «avere paura dell' immigrazione, né dubitare sulla possibilità di una vera integrazione». Le politiche migratorie del governo italiano tornano così sul banco degli imputati. Dopo le richieste di chiarimento della Commissione Ue, le critiche dell' Unhcr, del Vaticano e delle organizzazioni umanitarie, è ora la volta dell' Onu. L' Alto Commissario peri diritti umani condanna i respingim e n t i d e g l i i m m i g r a t i «abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale». In un discorso previsto per oggi e anticipato a Ginevra, la Pillay cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra Libia, Malta e Italia, ad agosto scorso e spiega che «partendo dal presupposto che le imbarcazioni in difficoltà trasportano migranti, le navi le oltrepassano ignorando le suppliche d' aiuto, in violazione del diritto internazionale». La Pillay chiede che cessi «la pratica di detenzione obbligatoria dei migranti, la loro criminalizzazione e il loro maltrattamento nel contesto del controllo delle frontiere». E ancora: «In Italia - denuncia l' Onu - vi è abbondante documentazione di discriminazioni e trattamenti degradanti nei confronti della popolazione Rom». Discriminazioni diffuse, secondo l' Onu, anche in altri 16 Paesi europei, dall' Ungheria alla Francia, dall' Irlanda al Portogallo. La reazione della Farnesina? «Il richiamo alle violazioni del diritto internazionale - si legge in una nota- nonè evidentemente rivolto all' Italia». Secondo il ministero degli Esteri, infatti «le regole del diritto internazionale costituiscono il caposaldo dell' azione del governo italiano». E poi «l' Italia è il Paese che ha salvato il maggior numero di vite umane nel Mediterraneo». In una relazione consegnata al Comitato del Consiglio d' Europa per la prevenzione della tortura, il governo sostiene inoltre di non adottare respingimenti, ma di applicare le norme contenute nel «protocollo opzionale dell' Onu sul traffico di persone via terra, mare, aria» Le critiche della rappresentante delle Nazioni Unite infiammano la polemica tra maggioranza e opposizione. «Il prestigio dell' Italia - afferma Rosy Bindi (Pd) - è irrimediabilmente sfigurato. Contro il governo parlano i fatti che non si possono nascondere con la propaganda. O qualcuno pensa di tappare la bocca anche all' Onu?». Secondo il candidato segretario del Pd, Pierluigi Bersani, il governo rischia «figuracce internazionali». Replica il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: «L' Italia sta attuando una politica di controllo dell' immigrazione clandestina che rispetta pienamente tutte le norme del diritto internazionale». Sul tema immigrazione, torna intanto Gianfranco Fini: «Pensare alla storia di Nancy Pelosi (l' italoamericana speaker della Camera dei rappresentanti Usa, ndr) dimostra che non occorre avere paura dell' immigrazione, né dubitare sulla possibilità di una vera integrazione». - VLADIMIRO POLCHI

1.10.09

Nucleare, svolta nel negoziato
faccia a faccia tra Usa e Iran

dall'inviato di Repubblica VINCENZO NIGRO


Il tavolo a Ginevra
GINEVRA - Sono positivi i primi segnali che arrivano dai colloqui fra il gruppo dei "5+1" con l'Iran. Questa mattina dopo la sessione plenaria in cui la delegazione iraniana ha incontrato i 5+1 (i 5 membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania), il negoziatore iraniano Sade Jalili si è riunito assieme ai suoi colleghi con la delegazione americana guidata dall'ambasciatore William Burns. Dai tempi della rivoluzione iraniana del 1979 questo è l'incontro bilaterale più importante che americani ed iraniani siano mai riusciti ad organizzare.

Nel primo pomeriggio si era capito che rispetto alle dichiarazioni della vigilia, l'Iran è arrivato a Ginevra con un atteggiamento negoziale possibilista. Il negoziatore Jalili nel suo discorso introduttivo ha affrontato il tema nucleare per rivendicare il diritto del suo paese all'energia atomica ma comunque accettando di discutere la questione e non rifiutando di farlo come Teheran aveva minacciato alla vigilia dei negoziati.

Un diplomatico occidentale ha detto ad Al Jazeera che "gli iraniani si sono mostrati morbidi dopo che noi abbiamo detto chiaramente che non eravamo venuti a Ginevra per ascoltare le loro idee sui problemi del mondo, ma che abbiamo due quesiti a cui esigiamo una risposta: se l'Iran vuole discutere del programma nucleare e se è disponibile per un'ispezione immediata del nuovo impianto di Qom". La risposta di Jalili non sarebbe stata una chiusura netta, anche se è vero che gli iraniani sono maestri nel negoziato e soprattutto nella tattica del rinvio di qualsiasi decisione.

Dopo 3 ore di discussione gli inviati hanno sospeso i colloqui per il pranzo e per permettere l'incontro Usa-Iran. Secondo Cristina Gallach, portavoce del "ministro degli Esteri" Ue Javier Solana, "la discussione si è svolta in un clima positivo e corretto". Le delegazioni si sono lasciate la porta aperta a qualsiasi sviluppo: il summit potrebbe continuare anche con altri incontri bilaterali e soprattutto tutte le delegazioni hanno mantenuto per stanotte le prenotazioni degli alberghi di Ginevra, in previsione del fatto che il negoziato possa terminare con un breakfast domattina.

Altro segnale interessante è arrivato da Washington, dove ieri sera il ministro degli Esteri iraniano si era spostato da New York. Secondo l'agenzia iraniana Irna, nella capitale Usa Manoucher Mottaki ha incontrato due deputati della Commissione esteri per discutere proprio della possibilità del nucleare. Il ministro aveva accompagnato a New York il presidente Ahmadinejad ed era rimasto negli Usa per altri incontri a margine dell'assemblea generale dell'Onu. Gli Usa gli hanno concesso un visto per visitare anche Washington con la scusa di un incontro con i diplomatici dell'ambasciata pachistana che rappresenta gli interessi iraniani negli Usa. Ma il vero motivo di questa tappa a Washington è stato l'incontro con i due deputati americani, la prima riunione fra un ministro iraniano e due congressmen dai tempi dell'amministrazione Clinton.

Ieri, prima di partire per Ginevra, il capo-negoziatore Jalili (che alla vigilia del nuovo governo era stato dato anche come possibile ministro degli Esteri) aveva detto di essere pronto a "creare un clima positivo". Lo stesso presidente Ahmadinejad, dopo aver ripetuto con forza che "l'Iran non tratterà sul suo diritto all'energia nucleare", aveva avanzato proposte per ricevere dall'estero l'uranio arricchito necessario per il programma nazionale. Una proposta a cui la Francia ha detto di essere "piuttosto favorevole": il ministro degli Esteri di Parigi Bernard Kouchner ne ha parlato in queste ore con i dirigenti russi che ha incontrato a Mosca. L'anno scorso il presidente iraniano Ahmadinejad aveva rifiutato completamente l'idea che l'uranio arricchito potesse essere fornito all'Iran dall'estero, la stessa proposta che sarebbe disposto a prendere in considerazione.

(1 ottobre 2009)
Super Mario e la sfida di Francoforte


MASSIMO GIANNINI

Mario Draghi candidato dal Wall Street Journal alla guida della Banca centrale europea è un grande riconoscimento politico per l’Italia. E soprattutto un importante risarcimento morale per la Banca d’Italia. Dopo gli Anni di Fango, quando i furbetti del quartierino entravano a Palazzo Koch dagli ingressi secondari per non farsi vedere, Via Nazionale torna finalmente agli onori del mondo. Se lo merita l’istituzione, per quello che ha sempre rappresentato nella travagliata storia repubblicana. E se lo merita anche l’attuale governatore, per come ha saputo ridarle lustro, e riprofilarla all’insegna degli unici valori che contano per una banca centrale: l’autorevolezza, la responsabilità, l’indipendenza.
Auguriamo a «Super Mario» di vincere la sfida di Francoforte. Lo standing internazionale non gli manca: è riconosciuto da tutti, fin dai primi anni ‘90, quando Business Week lo definiva (già allora) «l’uomo più potente d’Italia». I tempi coincidono: il mandato di Trichet alla Bce scade a fine 2011, quello di Draghi in Banca d’Italia nel gennaio 2012. Chi ha filo da tessere, tesserà. Il governo italiano, di qui alla scadenza, saprà lavorare per una soluzione così prestigiosa per la nazione? Una volta tanto, crediamo di sì. Per una ragione molto semplice, anche se assai provinciale. Draghi alla Bce, per parecchi politicanti di casa nostra, sarebbe un magnifico promoveatur ut amoveatur. In questa stagione di sedicenti «complotti giudoplutomassonici» e di farneticanti «congiure dei Poteri Forti» (evocate dai Berlusconi, i Tremonti e i Brunetta) il centrodestra guarda al governatore come a una pericolosa «minaccia».
È lui, suo malgrado, l’eterno candidato a guidare da premier un ipotetico «governo tecnicoistituzionale», o a gestire un superministero dell’Economia in un ipotetico «governo di salute pubblica». Per questo, nella logica assurda ed asfittica del Palazzo, è molto meglio un Draghi a Francoforte che un Draghi a Roma. Così, l’interesse becero della politica coincide con l’interesse superiore del Paese. È magra, ma almeno stavolta è una consolazione.
m.giannini@repubblica.it