11.8.09

ECONOMIA

C'è una luce in fondo al tunnel

di Mariaveronica Orrigoni e Luca Piana
La produzione non scende più. Le vendite di auto sono ripartite. Ma c'è il macigno del debito pubblico. E l'incubo disoccupazione. Cosa fare? Ecco le ricette di dieci economisti

La ripresa si sta affacciando sullo scenario economico globale... Fino a poche settimane fa un'affermazione tanto netta avrebbe scatenato scongiuri di ogni genere. Negli ultimi giorni di luglio, invece, la Confindustria ha abbandonato ogni scaramanzia per presentare così un convegno che il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia, officerà a settembre. Fiducia? Temerarietà? La presa di posizione riflette in realtà i battiti di vita che l'economia ha fatto percepire di questi tempi.

Più della produzione industriale, che ha smesso di scendere a precipizio come accadeva da metà del 2008 (vedere il grafico a pagina 110), un'idea concreta la possono fornire alcuni fattori ancora episodici. In Italia a luglio le vendite di auto sono cresciute del 6,2 per cento rispetto a un anno prima. Un recupero grazie al quale appaiono ora a portata di mano le previsioni della Fiat: nel 2009, ha calcolato Torino, il mercato italiano dovrebbe arretrare del 5 per cento, un calo sopportabile rispetto alla voragine di inizio anno.

Nel mondo, invece, hanno destato sensazione le Borse, vicine ai massimi dal novembre scorso, e l'aumento dei prezzi delle materie prime, che nel pieno della recessione erano crollati a livelli minimi, riflettendo una domanda ridotta al lumicino: "C'è la luce alla fine del tunnel, almeno potenzialmente", ha commentato l'economista Nouriel Roubini, noto per essere stato fra i primi a prefigurare la crisi.

Il problema è che altri indicatori mostrano invece la gravità della botta inferta dalla recessione. A giugno i consumi di energia elettrica sono diminuiti del 7,6 per cento rispetto a 12 mesi prima, lo stesso trend di inizio anno: segno che l'industria italiana continua a marciare a passo ridotto. A luglio, poi, l'inflazione è scesa a zero su base annua, il livello più basso dal 1959: le famiglie, quando possono, risparmiano.


Per analizzare le prospettive della ripresa e comprendere i rischi che rimangono, 'L'espresso' ha raccolto il parere di dieci economisti. Ne è emerso un giudizio complessivo di grande prudenza, che riflette il timore dei macigni che la recessione può ancora scaricare: un forte aumento dei disoccupati e l'esplosione del debito pubblico. Ma non manca chi sottolinea la vitalità di una larga fetta dell'industria italiana e spera negli effetti contagiosi di un ritorno della fiducia.

IL SEMESTRE SABBATICO. "I consumatori non hanno ancora sentito la vera durezza della recessione; è come se questa avesse concesso loro un semestre sabbatico". Fedele De Novellis, del centro studi Ref, descrive così i fattori che hanno attutito gli effetti della crisi sulla vita di molte famiglie: il crollo del prezzo dei carburanti; l'esplosione del deficit pubblico, salito a luglio a 53,6 miliardi di euro (più del doppio rispetto a un anno prima), che riflette le minori tasse pagate da autonomi e imprese; la decisione di molte aziende di non licenziare subito la manodopera, ricorrendo alla cassa integrazione. Ora, però, i prezzi della benzina sono tornati a correre, il deficit pubblico si allarga e l'occupazione va ad adeguarsi a un livello produttivo un quinto più basso.

L'ESTATE STA FINENDO. A fine marzo l'Istat ha contato 200 mila posti bruciati: un numero contenuto, se si pensa ai crolli in Spagna e negli Stati Uniti. Dopo le ferie, però, la situazione potrebbe diventare nera. "Non tutti danno per scontato uno choc occupazionale: se gli imprenditori inizieranno a percepire un clima di maggiore fiducia potrebbero licenziare meno del previsto", dice Roberto Perotti della Bocconi. Se tagli saranno, a soffrire sarà però l'industria e sul destino di molte fabbriche grava un'alta incertezza, osserva Gregorio De Felice dell'ufficio studi di Intesa Sanpaolo: "l'impennata della cassa integrazione potrebbe preannunciare la mancata riapertura di diverse aziende, soprattutto le meno grandi", dice l'economista, secondo il quale il governo dovrebbe darsi l'obiettivo di aumentare la competitività delle piccole imprese. Come? Facendo piazza pulita di quei vantaggi fiscali e legislativi che consentono loro di fare a meno di un processo di riorganizzazione".
(07 agosto 2009)

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